Ancora una volta un atto “pretestuoso” e pure “arrogante”. Che cerca di bloccare l’azione del governo.
Giorgia Meloni è furente. I contatti con i suoi, a Roma, sono frenetici per tutta la giornata e alla prima occasione utile, un punto stampa a Beirut che era stato immaginato di tutt’altra natura, lascia trasparire tutta la sua irritazione per una decisione “pregiudiziale” della magistratura, che ha bocciato i trasferimenti dei primi migranti nei centri in Albania.
Un protocollo di cui l’Italia punta a fare un modello europeo, sostenuta dalla stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. E che doveva prestarsi alla narrazione di un grande successo nel nuovo corso delle politiche migratorie.
Per correre ai ripari già nel Consiglio dei ministri di lunedì Meloni ha annunciato nuove norme (puntando, tra l’altro, a velocizzare l’esame delle domande di asilo e, forse a rivedere i meccanismi dei ricorsi). Le nuove regole dovranno ribadire – in punta di diritto – che spetta al governo, non ai giudici, indicare quali siano i Paesi sicuri.
Altrimenti, è il ragionamento che si fa ai piani alti dell’esecutivo, nessuna azione di contrasto all’immigrazione illegale sarà più possibile. In sostanza sarà impossibile attuare una “politica di difesa dei confini”. Una “forzatura”, una azione che travalica gli argini, che “scavalca ogni prerogativa di governo e Parlamento”, sono le analisi che rimbalzano tra gli esponenti dell’esecutivo.
A fare innervosire non è solamente l’ordinanza del tribunale di Roma, contro la quale è già pronto il ricorso, ma anche il fatto che già fosse stata preannunciata il giorno prima da esponenti della “sinistra”. Altro elemento che confermerebbe, secondo i meloniani, che c’è una parte della magistratura politicizzata. Che la decisione sia “pregiudiziale”, dice peraltro la stessa premier, “lo dimostra” il fatto che “alcuni di questi giudici avevano criticato l’accordo con l’Albania ancora prima di entrare nel merito”, oltre appunto all’anticipo da parte di “esponenti del Partito democratico”.
Un fatto, sottolinea Meloni, che non può non “colpire”. L’intoppo dei trasferimenti in Albania è seguito con attenzione anche da Bruxelles, ma a Palazzo Berlaymont non si respira aria di allarme visto che il dispositivo, ragionano con l’ANSA fonti vicini al dossier, ad una prima lettura non sembra riguardare in sé il protocollo con l’Albania ma la definizione dei Paesi sicuri.
Un nodo, quest’ultimo, su cui potrebbe arrivare un intervento europeo, finalizzato a dare una nuova definizione di Paese sicuro. Il punto di riferimento resta il Patto di Migrazione e asilo nel quale, rispetto alle norme vigenti, c’è una sostanziale novità: affinché un Paese sia sicuro basta che lo sia “in parte”. Il vulnus, quindi, non sarebbe nel Protocollo Albania che, per la presidente della Commissione, resta valido e percorribile.
Non a caso, fonti dell’esecutivo Ue, interpellate sulla decisione dei giudici italiani, si limitano ad una serena presa d’atto”. Nell’attesa che le norme comunitarie cambino. Politicamente la questione resta comunque delicata: alla vigilia delle audizioni per la conferma dei nuovi commissari la tensione, in particolare con i socialisti e Renew, era già alta e il dossier migranti non può che inasprire gli animi. Berlino e Madrid già si erano chiamati fuori e pure Parigi, dopo un iniziale tentennamento, ha chiarito che “il modello Albania non è trasferibile in Francia”.
Difficile, minimizzano i Conservatori, che questo possa avere davvero un effetto sul destino di Raffaele Fitto, che nel frattempo ha incassato il sostegno esplicito anche dei Patrioti. Il gioco dei veti incrociati sarebbe “un gioco al massacro” per tutti, è l’argomento che imperversa a Dubrovnik dove Ecr party ha chiamato anche Popolari e Patrioti a convegno su un tema unitario, quello della famiglia. Certo a complicare il percorso del commissario designato italiano si aggiunge pure l’annosa questione dei balneari. Anche su questo dossier, come sui migranti, ci sono contatti in corso tra Roma e Bruxelles, che sta valutando le richieste di ulteriori modifiche all’intesa avanzate durante l’esame parlamentare delle nuove norme sulle gare per le concessioni delle spiagge. Ma Roma ha pochi, pochissimi margini.
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