La missione Unifil “va rafforzata mantenendo la sua imparzialità” perché “solo così si potrà voltare pagina”. L’Italia “sarà pronta a fare la propria parte” se le verrà chiesto di aumentare il proprio contingente. Quello che serve ora per la de-escalation è “uno sforzo da parte israeliana”. Sono le direttrici indicate da Giorgia Meloni, dopo aver incassato l’adesione del Libano alla proposta di cessate il fuoco per 21 giorni avanzata un mese fa da Usa, Ue e tre Paesi arabi. E, chiudendo la missione in Giordania e a Beirut, annuncia che una delle sue prime telefonate sarà proprio a Benjamin Netanyahu. Al quale ribadirà che, dopo la scomparsa del leader di Hamas Yahya Sinwar, la mente della strage terrorista del 7 ottobre 2023, “può offrire la finestra per una stagione nuova, una finestra che deve essere colta da parte israeliana”. La premier, a meno di tre mesi dalla fine della sua presidenza del G7, atterra nella notte ad Amman, reduce dal Consiglio europeo di Bruxelles dove la crisi mediorientale è stata centrale nelle discussioni fra i leader. Con il re giordano Abdullah II, a cui riconosce una leadership moderata e quindi cruciale nello scacchiere, condivide la necessità di sforzi comuni per un cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani, ribadendo il sostegno alla strategia umanitaria nella Striscia.
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Poi vola a Beirut, un viaggio tra strettissime misure di sicurezza, in cui non può rientrare la visita ai militari italiani, che con Unifil presidiano la linea blu e nella missione bilaterale Mibil supportano l’esercito libanese. Incontra però nella capitale i vertici del nostro contingente, ai quali affida il suo messaggio di vicinanza e solidarietà. Poi incontra il primo ministro uscente Najib Mikati e il presidente dell’Assemblea nazionale del Libano Nabih Berri, esponente di Amal, formazione politica vicina a Hezbollah, e da mezzo secolo figura centrale della politica mediorientale. “Non abbiamo altre armi se non la diplomazia – è il ragionamento su cui Meloni fonda la strategia di mediazione -: se non riusciamo a farci ascoltare ed ad ascoltare i nostri interlocutori, la diplomazia non si riesce ad esercitare”. La mossa più attesa ora è la prossima, una telefonata a Netanyahu dopo quella dai toni decisamente tesi di domenica scorsa, dopo i primi attacchi ad Unifil. Intanto in Libano sembra aver avuto le risposte sperate. Al suo fianco Mikati, poche ore dopo aver respinto “l’interferenza” iraniana “negli affari libanesi”, implicitamente prende le distanze da Hezbollah affermando che “il futuro” del suo Paese risiede “nella dissociazione dai conflitti che sono intorno”. E indica come priorità fermare gli attacchi di Israele ai civili e la distruzione delle cittadine e delle località libanesi nel sud del Libano. Dal Grand Sérail, il palazzo del governo di Beirut, Meloni ribadisce che sono “inaccettabili” gli attacchi a Unifil e spiega di dare “per scontato” che non si ripetano. Dagli interlocutori libanesi ottiene l’impegno a garantire la sicurezza dei contingenti internazionali, anche perché “Unifil e Mibil saranno necessari in ogni scenario post-conflitto”. A Mikati e Berri promette di rafforzare la capacità delle forze armate di Beirut, tema al centro anche del G7 Difesa in corso a Napoli. Mettere in condizione l’esercito libanese di controllare il territorio è considerata una condizione per tenere i guerriglieri di Hezbollah lontani dal confine: “A sud del fiume Litani non deve esserci altra presenza militare se non quella di Unifil e Lebanese Armed Forces”. Assicurando di non voler interferire, la presidente del Consiglio sottolinea poi che “il Libano soffre, e avere istituzioni funzionanti è la chiave per poter difendere i propri interessi”.
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