In Emilia-Romagna sarà possibile dal primo gennaio 2025 avere accesso al farmaco per l’interruzione di gravidanza anche a domicilio. La Regione ha aggiornato il protocollo per l’interruzione volontaria con una determina del 9 ottobre. Lo riporta l’edizione bolognese di Repubblica. Questa modalità, spiega la Regione, consente comunque “la sicurezza e la tracciabilità dell’intervento” perché “il percorso inizia all’interno dei servizi sanitari in regime ambulatoriale, nell’ambito di una presa in carico complessiva della donna”.
La libertà di scelta delle donne in Emilia-Romagna si declina ora in tre possibilità: l’interruzione chirurgica, in regime di day surgery e quella farmacologica in ambulatorio o a domicilio. Per il percorso dell’aborto farmacologico a domicilio è previsto che ci siano comunque due accessi in ambulatorio: il primo per valutare la situazione e assumere il primo farmaco, il secondo per per la visita di controllo, passati 14 giorni ed eseguito un nuovo test di gravidanza.
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“Ancora una volta la nostra Regione non perde occasione per manifestare le sue priorità ideologiche. Per la maggioranza aiutare la donna significa permetterle di porre termine alla vita che porta nel grembo più facilmente e rapidamente possibile, in modo che non si accorga della gravità di quanto sta avvenendo, finanche sacrificando la sicurezza e l’assistenza medica”. Lo afferma, in una nota, Francesco Perboni, referente del Circolo Territoriale di Pro Vita & Famiglia dell’Emilia-Romagna in merito alla determinazione dirigenziale della Regione che, aggiornando i profili di assistenza per le donne che richiedono l’Ivg con metodo farmacologico, ha reso definitiva la possibilità dell’assunzione del farmaco abortivo a domicilio, ovvero senza il ricovero ospedaliero.
“Perché – aggiunge – si sente il bisogno di velocizzare questa pratica? Se davvero l’aborto non è niente di grave, perché si sente il bisogno di nasconderne la realtà medica oggettiva alla donna? Tra l’altro senza il ricovero si mette a rischio proprio la salute della donna. Così sembra che l’unica scelta di valore per questa politica – conclude – sia la soppressione della vita e la promozione della cultura dello scarto. Si viola, inoltre, lo spirito della prima parte della Legge 194, che resta iniqua, che sancisce la tutela sociale della maternità”.
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